O famoso livro, e calhamaço, de Romano Amerio, Iota Unum, já deu o que falar na sua primeira impressão há 25 anos. Com uma visão totalmente diferenciada da já consolidada "História do Concílio Vaticano II" da dita "Escola de Bologna", Amerio nos oferece uma outra visão dobre o evento, percorrendo sua fase preparatória e seus debates, dando, por exemplo, outra interpretação à "intervenção Lienart" no final da primeira sessão e jogando em cima do concílio as culpas sobre a "crise da Igreja" depois de 1970.
Agora, com duas novas reimpressões, a obra, a mais citada pelo tradicionalismo católico não lefebvrista, chega no momento da "reforma da reforma" de Bento XVI e de sua insistência na hermenêutica da continuidade para se interpretar o Concílio Vaticano II. Abaixo segue o crítico artigo do jornal católico italiano Avvenire sobre obra tão controversa.
Agora, com duas novas reimpressões, a obra, a mais citada pelo tradicionalismo católico não lefebvrista, chega no momento da "reforma da reforma" de Bento XVI e de sua insistência na hermenêutica da continuidade para se interpretar o Concílio Vaticano II. Abaixo segue o crítico artigo do jornal católico italiano Avvenire sobre obra tão controversa.
Una critica troppo letteralista. E così si perde il senso della realtàdi
Roberto Beretta
Anche i miti, a volte, deludono. Càpita infatti che s’attenda di conoscere un testo, del quale si è sentito lungamente parlare ma su cui non si è mai riusciti a mettere le mani: complice anche l’edizione rara in cui era stato stampato, 25 anni fa. Succede che il suo evocativo titolo latino venga spesso citato come «summa» di un pensiero alternativo e alto, allo stesso tempo non progressista ma nemmeno del tutto lefebvriano, sulla Chiesa post-conciliare. Insomma, avviene che una serie di addendi – il mistero, la rarità, le referenze, la sobrietà di notizie sull’autore – congiuri ad aumentare l’aura intorno a quel volume quasi fosse riservato a una scarna congrega di privilegiati o addirittura iniziati, accrescendo quindi l’appetito dei curiosi. Poi d’un tratto accade che di <+corsivo>Iota unum<+tondo> si stampino non una ma due edizioni (Lindau e Fede & Cultura) e dunque diventi facilmente disponibile quell’imponente «studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX» che il filosofo ticinese Romano Amerio pubblicò nel 1985, dando voce a un tradizionalismo ritenuto colto e documentato: proprio quello che vari lettori si aspettavano di trovare nelle ristampe odierne. E invece il sogno svanisce all’alba, non appena cioè si alza il sole di un’effettiva conoscenza. Iota unum (e ancor più il suo seguito Stat veritas, 55 chiose all’enciclica Tertio millennio adveniente di Giovanni Paolo II) è in larga parte una delusione, e non solo perché non riesce a tener testa al suo stesso mito – alimentato peraltro da personalità come Cristina Campo, Elemire Zolla, Augusto Del Noce. Adesso che si può leggerlo, lo Iota appare proprio uno iota: una critica cioè «piccola» nel suo giuridicismo e letteralismo, che estrapola singole frasi dal contesto per trarne conclusioni teologiche generali e assolute; secondo un metodo di dissezione dei particolari che – proprio nella sua apparenza di oggettività analitica – conduce invece a perdere di vista il panorama globale, con esiti paradossali di incomprensione. Non si vuole qui esprimere un giudizio «ideologico», la solita solfa sulle idee anticonciliari di Amerio (che pure potrebbero condurre al sedevacantismo: l’accusa d’illegittimità dei Papi dopo il Vaticano II...); quanto di manifestare un’autentica delusione: se colui che scomunica lo sport e non ama che la vita sia presentata ai giovani come gioia; se chi condanna i consigli pastorali (e altri organi collegiali nella Chiesa) e disapprova l’impegno cristiano per lo sviluppo dei popoli; ebbene, se costui è «il pensatore più attuale e vivificante del momento... molto costruttivamente cattolico», come scrive Enrico Maria Radaelli nella postfazione Lindau, abbiamo atteso tanto per... poco. Beninteso: nelle 736 pagine dello Iota ci sono ovviamente idee e intuizioni interessanti o condivisibili o addirittura necessarie, soprattutto in tempi di furiosa contestazione e scriteriata «novità» come furono quelli del post-concilio. Ma il modo di procedere del libro risulta nel complesso formalistico; la scelta delle fonti mescola documenti ufficiali a brani giornalistici (e spesso del quotidiano di Lugano, dove lo studioso viveva, o al massimo di ambiente francofono); il famoso «rigore analitico» si applica a casi molto particolari, per esempio deducendo la crisi della Curia romana dal fatto che in un discorso Paolo VI abbia citato un inesistente «Ottavio di Mileto» anziché «Ottato di Milevi»... Insomma, un continuo mettere i puntini sugli i (o sugli... iota) che sarà anche meritorio, ma alla fine tradisce la realtà nelle sue sfumature, genera dogmi non necessari e paradossalmente non coglie la «verità» profonda delle cose, tanto meno del Vaticano II. E questo, per un cultore della «verità cattolica» come Amerio, non è difetto da poco.
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